Siamo state invitate a intervenire come associazione al tavolo di confronto “Ora parliamo di aborto. Storia, evoluzione e problemi di un diritto sempre sotto attacco”.
L’evento è stato organizzato dalle Donne RossoVerdi (Europa Verde + Sansa, Linea Condivisa, Possibile e Sinistra Italiana) e ha coinvolto molte associazioni attive sul territorio ligure. Alcune storiche, come UDI e AIED, altre più di recente fondazione, per una pluralità di opinioni.
L’intervento di UDI Genova a Ora parliamo di aborto
Buon pomeriggio, sono molto onorata di essere qui a rappresentare la mia associazione, UDI Genova, per parlare di una tematica così delicata e sensibile come l’aborto.
UDI non ha bisogno di presentazioni: è stata in prima linea per tutti gli anni 70 e anche prima per ottenere la legge sull’aborto, la 194, e si è sempre spesa a favore delle donne che avevano bisogno di accedere a questa pratica, convinta e certa che l’accesso all’aborto legale sia un diritto che tutela prima di tutto l’autodeterminazione della donna e che debba essere una pratica legale e sicura per la tutela e la salute delle donne. Mi piace ricordare uno slogan degli anni ‘70: “aborto libero per non morire contraccezione per non abortire”.
Questo è questa frase secondo me rappresenta bene l’approccio con cui UDI si è dedicata alla costruzione della 194, una legge che vuole tutelare la salute delle donne, la loro autodeterminazione ma anche la maternità – tutti diritti delle donne inalienabili.
Offre però anche un’idea di maternità consapevole, scelta, pianificata, ben lontana dalle troppe storie di donne degli anni ’60 e ’70, condannate per essersi sottoposte a un aborto clandestino all’ennesima gravidanza. Sono storie terribili che ci fanno da monito perché non si retroceda di un passo sulla 194.
Questa legge è stata frutto di tanti anni di discussione e di compromesso, un termine a mio parere che deve essere rivisto in un’accezione non negativa, laddove è stato possibile.
Basti pensare che nel 1976 cade il V governo Moro sull’impossibilità di trovare un accordo per una legge sull’aborto equa, con le parti cattoliche che spingono perché rimanga un reato in ogni caso, e che la discussione vera e propria si aprì solo a seguito del disastro ambientale della ICMESA di Seveso, con migliaia di donne incinte che rischiavano complicazioni e malformazioni dei feti a causa dell’intossicazione.
I frutti di quella legge, nel bene e nel male, li cogliamo oggi. Se è inaccettabile riscontrare nel Paese un tasso di obiezione più alto oggi che nel 1978, quando la 194 è entrata in vigore, dall’altra parte dobbiamo lottare perché i diritti delle donne non retrocedano e perché lo stato tuteli la maternità seriamente tutelando l’indipendenza economica delle donne, i loro posti di lavoro, e offrendo servizi alle famiglie in modo che il lavoro di cura non ricada su di loro. Insieme alla 194 UDI si è battuta per l’implementazione dei servizi sociali, la creazione di consultori e asili nido, servizi che oggi sono quanto mai necessari.
Servizi che, in particolare i consultori pubblici, oggi sembrano svuotati dei loro servizi, mentre si permette ad associazioni contrarie all’autodeterminazione di entrare a terrorizzare e colpevolizzare le donne.
Nuove lotte, intanto, si definiscono: dalla necessità di avere una medicina che si focalizzi sulle necessità delle donne e che non liquidi i loro problemi come “psicosomatici” (pensiamo quanto tempo in media serve per una diagnosi di endometriosi, e quante donne si sentano ancora suggerire come cura una gravidanza) alla violenza ostetrica, che subiscono sia le donne che desiderano abortire sia le partorienti. Tutti questi temi sono fondamentali per ottenere una società più equa.
Ringrazio ancora per l’invito e concludo. Grazie